Come emerge dall’utilissimo e puntuale studio di Banca Ifis, Market Watch Npl 2024, lo stock di Npl è cresciuto, a livello europeo di 16 miliardi (dati giugno 2024), mentre nel nostro Paese riscontriamo una tendenza di decrescita che ha visto lo stock degli Npl ridursi di 5,1 miliardi nell’ultimo anno.
Quello italiano è un indicatore certamente positivo anche se vale la pena comprendere se effettivamente vi sia una minore produzione “di base” di posizioni deteriorare, quindi una maggiore capacità dei clienti delle banche di pagare regolarmente le proprie esposizioni, oppure se vi sia, da parte delle banche, una ridotta immissione di Npl sul mercato.
I tempi passati
Sappiamo infatti che il momento peggiore nella gestione degli Npl, per il nostro sistema bancario, è stato il periodo che va dal 2015 al 2020. Si è trattato di un periodo molto difficile in cui gli istituti di credito registravano un tasso di rischiosità molto elevato con NPL ratio elevatissimi.
Una situazione emergenziale che ha determinato una fortissima contrazione in termini di concessione di finanziamenti in ragione delle sofferenze presenti nei bilanci con relativo assorbimento patrimoniale.
Le nostre banche sistemiche, e non solo, in quella situazione, obiettivamente difficile, sono state (anche se un po’ forzatamente) capaci di mettere in atto una serie di maxi operazioni di cartolarizzazione che hanno portato all’esternalizzazione dei crediti deteriorati deconsolidandoli, non senza ingenti sacrifici, dai propri bilanci.
Ma per chi vende ci vuole qualcuno che compri, e qui, i veicoli di cartolarizzazione, sono diventati i principali “clienti” delle banche ed hanno, anche con il supporto dello Stato (GACS), acquistato, per miliardi di euro, i crediti più o meno deteriorarti presenti nel sistema bancario, iniziando le attività di recupero grazie a Servicer sempre più specializzati e in grado di lavorare macro-masse di posizioni in sofferenza.
I sistemi bancari attualmente colpiti
Il quadro macro economico attuale in Europa registra un intensificarsi della crisi, con alcuni settori particolarmente colpiti, anche in ragione dell’inflazione, prima, e dell’incremento successivo dei tassi di interesse, cura (se così possiamo dire) per l’inflazione ma non priva di effetti collaterali.
Come vediamo dal rapporto di IFIS i sistemi bancari maggiormente colpiti sono quello tedesco, con un aumento di 9,4 miliardi di euro di Npl (+13,57%), che raggiunge quota 41 miliardi, seguito da Francia, con una crescita di 8,8 miliardi (+7,8%) per toccare quota 121 miliardi. Sta molto meglio la Spagna che fa segnare un più 0,8 miliardi (+1%) per arrivare a 76 miliardi di euro.
In questo scenario emerge quindi il risultato delle banche italiane che sono state in grado di ridurre drasticamente la crescita delle esposizioni deteriorate. Come anticipavamo, per quanto riguarda gli istituti di credito rilevanti, il totale degli Npl è sceso di 5,1 miliardi (- 5,1%) attestandosi a 41 miliardi di euro. Se si considera, poi, l’intero sistema bancario allora la presenza degli Npl si attesta a 51 miliardi.
Dal 2015 al 2024 calo per 71 miliardi di Npl
Dall’analisi di Banca Ifis l’esposizione attuale del nostro sistema bancario calcolando insieme i crediti deteriorati a bilancio delle banche e l’esposizione Npl detenuta dagli operatori del mercato secondario dovrebbe attestarsi a fine anno intorno ai 290 miliardi di euro. Se questa stima troverà conferma allora avremmo ottenuto in un arco di tempo tra il 2015 e il 2024 un calo rilevante per circa 71 miliardi di euro di Npl.
Un risultato frutto del lavoro complessivo svolto sul fronte dei crediti deteriorati da parte dell’intero sistema bancario. Inoltre, il report di Banca Ifis stima che questo calo continuerà anche nei prossimi due anni, fino al 2026. A quel punto lo stock totale degli Npl dovrebbe attestarsi intorno ai 277 miliardi di euro. Se così fosse avremmo un meno 23% rispetto al 2015 per circa 84 miliardi di euro.
Banche italiane, più capaci delle colleghe europee
In sintesi, le banche italiane sembrano essere state più capaci nella gestione di questi crediti deteriorati delle colleghe europee. Ma, come sopra accennato, sarebbe interessante capire se effettivamente ci sia stata una riduzione del numero dei clienti delle banche che hanno evidenziato problematiche nel rimborso dei finanziamenti, quindi si sia ridotta alla “fonte” la genesi dei crediti problematici, oppure se la banche abbiano avuto, e abbiano, maggiore capacità di gestire crediti in pre-sofferenza o in sofferenza, magari anche alla luce della ritrovata capacità patrimoniale, da una parte alleggerita dalle passate operazioni di destocking e, dall’altra, incrementata grazie alla ritrovata generazione di utili delle banche, non omettendo, infine, di riconoscere un contributo, sempre ai fini patrimoniali, della normativa sugli extraprofitti delle banche, la quale, sebbene non abbia portato gettito per le casse dello stato, ha (mediante l’alternativa della creazione della riserva non disponibile pari a 2,5 volte l’ammontare delle imposte) incrementato, spesso in modo significato, il valore complessivo del patrimonio netto delle banche.
L’Italia è un sistema notoriamente Bank Based, in quanto caratterizzano da un ridotto ricorso alla intermediazione diretta e da relazioni di lungo periodo tra banche e imprese con una forte incidenza delle banche sugli assetti proprietari e sul controllo delle imprese; quindi, indipendentemente da quale sia effettivamente il sottostante alla riduzione dell’immissione sul mercato di Npl da parte delle Banche, quest’ultimo dato è certamente positivo.
Cambia l’approccio allo stock di deteriorato
In ogni caso, la minor produzione, in uscita, di Npl da parte delle Banche rappresenta, forse, anche un inizio di cambio di approccio e di strategia nella gestione dei crediti problematici.
Sembra sia venuta meno la fase emergenziale di rincorsa al destocking del credito problematico che veniva ceduto ancora prima che si potesse lavorare in modo compiuto, sull’onda del timore delle obbligate svalutazioni (calendar provisioning) e si stia ritrovando una più attenta valutazione e gestione delle posizioni creditorie che, pur manifestando segnali di incremento del rischio, non subiscono una repentina dismissione, e ciò è importantissimo soprattutto se lo vediamo dalla prospettiva del finanziato che può continuare a fare affidamento sul rapporto con il suo finanziatore originale.
Focus sullo stage 2
Oggi l’attenzione del sistema bancario si è quindi allargata anche ai crediti classificati a “stage 2”, quindi a quei crediti che evidenziano un significativo incremento del rischio di credito, spesso in ragione di un peggioramento temporaneo delle condizioni economiche dei debitori, ma che, anche con il supporto della banca erogante, non sfociano in vere e proprie sofferenze.
Forse una simbiosi, una partnership, ritrovata tra finanziato e finanziatore, dove il primo, nonostante le evidenziate difficoltà del mercato, dell’inflazione e dei tassi di interesse, cerca di mantenere gli impegni di rimborso assunti e, il secondo, meno sotto pressione per raggiungere Npl ratio accettabili, diviene più disponibile a coadiuvare maggiormente il proprio cliente.
Cosa cambierà?
Se questo è o sarà il prossimo paradigma, occorrerà anche una revisione dei drivers operativi dei Servicer che oggi si occupano principalmente di recuperare i crediti. Infatti, molto banche hanno dismesso buona parte delle loro piattaforme di gestione del credito e quindi toccherà ai Servicer risalire la filiera produttiva dei crediti problematici coadiuvando le banche nella gestione delle posizioni in Stage 2 (o prima ancora) in un’ottica di collaborazione o di supporto anche ai clienti delle banche che evidenzino segnali di incremento del rischio di rimborso. A ciò si aggiungeranno anche gli effetti, a oggi non ancora valutabili concretamente, dell’introduzione della Secondary Market Directive.
Questo articolo è stato pubblicato sul numero di dicembre 2024 di AziendaBanca ed è eccezionalmente disponibile gratuitamente anche sul sito web. Se vuoi ricevere AziendaBanca, puoi abbonarti nel nostro shop.