Tra poco più di un anno, le banche di Paesi terzi, Svizzera inclusa, potranno operare in Italia attraverso l’apertura di una succursale sul territorio nazionale.
«Per anni il rapporto tra banche svizzere e clientela italiana è stato caratterizzato da un paradosso: da un lato – racconta Adriana Sini, BPO Service Operation Director di Objectway – una elevata domanda di servizi bancari e di investimento cross-border da parte di clienti sofisticati, dall’altro i limiti regolamentari, che obbligavano a varcare fisicamente il confine o a mantenere conti in Svizzera. Questo scenario sta cambiando, grazie all’accordo tra Banca d’Italia, Consob e FINMA, unito alla prossima entrata in vigore della direttiva europea CRD VI, che richiede alle banche che operano al di fuori dell’area UE di operare in Italia aprendo una succursale bancaria».
Gli operatori elvetici si stanno già muovendo
Oggi le succursali di banche estere rappresentano circa il 6% del totale attivo del sistema bancario italiano (11 miliardi di euro di attivi nel 2022, NdR) e questi numeri sono destinati a crescere con il potenziale ingresso degli operatori svizzeri nel panorama bancario nazionale.
«Aprire una branch in Italia permette di consolidare la retention della clientela, crea le condizioni per un cross-selling efficace e consente di competere su un mercato ad alto potenziale. I player elvetici si stanno già muovendo, valutando, qualora siano già presenti come Sim, come evolvere verso una struttura bancaria, in accordo alla nuova regolamentazione – precisa Sini. Tuttavia, non è sufficiente replicare in Italia il modello operativo della casa madre: servono infrastrutture tecnologiche scalabili e soluzioni di governance per mantenere il controllo operativo senza duplicazioni o inefficienze».
Un back-office glocal
L’apertura di una branch italiana presenta un complesso iter: segnalazioni regolamentari da produrre, calcoli fiscali da applicare, obblighi normativi da rispettare.
«La vera partita si gioca quindi nel back-office – sottolinea Sini. Settlement, clearing, custody, fiscalità e reporting non sono solo adempimenti tecnici e normativi, ma rappresentano la chiave per sviluppare un modello di business solido e competitivo. Il front-end è un layer di relazione: la consulenza, la gestione del portafoglio e i servizi digitali possono essere gestiti in modo centralizzato, così da mantenere l’allineamento con i valori del gruppo. Tuttavia, è nel post-trade che si misura la capacità di garantire una adeguata gestione dei flussi transazionali e di applicare correttamente le regole fiscali. Per questo motivo serve una infrastruttura glocal, capace di coniugare globalizzazione e localizzazione. La sfida non si limita, dunque, al perimetro dei servizi offerti ma implica un ripensamento dei modelli operativi per conciliare due logiche apparentemente opposte: la centralizzazione dei sistemi core, per massimizzare efficienza ed economie di scala, e la localizzazione di processi, dati e reporting, per rispettare le normative italiane in materia di fiscalità, compliance e trasparenza verso la clientela».
Questo articolo è stato pubblicato sul numero di novembre 2025 di AziendaBanca ed è eccezionalmente disponibile gratuitamente anche sul sito web. Se vuoi ricevere AziendaBanca, puoi abbonarti nel nostro shop.
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