Tecnologie, esigenze commerciali e abitudini del cliente sono solo tre dei fattori che stanno cambiando il lavoro del bancario e il catalogo delle competenze richieste a chi lavora in banca oggi.
Abbiamo approfondito questo cambiamento con Giorgio spina, CEO di Execus, in un episodio del nostro podcast #define banking, di cui questo articolo è un adattamento testuale.
AG. Il ruolo del consulente bancario sta cambiando. E già questo termine, “consulente”, sintetizza la trasformazione radicale rispetto allo “sportellista” e all’operatore di filiale di cui si parlava qualche anno fa. Come sta cambiando il mestiere del bancario?
GS. Parliamo di un cambiamento in corso da anni. In Italia, negli ultimi 5 anni, secondo un report di Fisac Cgil, hanno chiuso 5mila filiali, cioè circa il 20% del totale. E, soprattutto, nella rete fisica lavorano 16mila unità in meno, e qui parliamo di lavoratori.
La coda allo sportello è stata ormai sostituita da internet, app e self service.
Eppure, la relazione con il cliente non muore, ma cambia pelle. McKinsey and Co. parla di “Universal Banker”, un professionista che incrocia competenze di cassa, consulenza e sviluppo commerciale. Lavora sì in filiale, ma anche da remoto, con call in orari serali. Insomma, si adatta al contesto e intercetta più momenti di confronto con i clienti.
Deve avere competenze ampie e conoscere situazioni più complesse: gestione patrimoniale, passaggio generazionale, pianificazione ESG.
Ti faccio un esempio. Le banche italiane che hanno introdotto la consulenza video hanno visto il net promoter score salire di 12 punti in due anni.
AG. Se il focus si sposta sulla relazione, allora servono competenze di ascolto, un’ottima conoscenza dei prodotti, ma anche skill tecnologiche. Quali di queste entreranno nel catalogo del consulente?
GS. C’è una triade fondamentale che il consulente deve affrontare e approfondire. Il primo punto è “finanza e normativa”: non basta saper spiegare un fondo, bisogna padroneggiare argomenti come MiFID, tax & planning, ESG. Banca d’Italia, nel 2024, ha elevato da 20 a 30 le ore obbligatorie di formazione e, quindi, una forte competenza normativa è anche istituzionalmente richiesta.
Poi abbiamo i dati e, in generale, l’alfabetizzazione digitale. I dati ci dicono che in questo ambito il 40% delle skill core, quindi quelle più importanti, cambierà radicalmente entro il 2027. Siamo in una fase tecnologica di rapido cambiamento, che va analizzato. Il CRM, ad esempio, ci dice qual è il miglior prossimo prodotto da proporre.
Ma oggi abbiamo anche dei sistemi di data visualization che permettono di dare più informazioni e insights al cliente.
Il terzo punto lo hai anticipato nella tua domanda. Servono soft skills. Empatia, storytelling, negoziazione. L’intelligenza artificiale sa moltissimo del cliente ma ci sono informazioni relazionali ed emotive che solo il consulente sa ottenere. Ad esempio, dove il cliente vuole portare i nipoti in vacanza. Sono dati che fanno la differenza nel relazionarsi e unire i due mondi fa la differenza.
AG. L’intelligenza artificiale è la tecnologia hype degli ultimi anni. Si parla spesso di quella generativa come uno strumento a disposizione del consulente, una sorta di collega che lo affianca e, in base ai dati, suggerisce quale prodotto o quale ambito investigare. Che competenze serviranno al bancario del futuro per usare l’AI?
GS. La formazione deve essere aderente al contesto e a quello che ci richiedono i clienti. L’intelligenza artificiale ci sta aiutando a cambiare anche il modo di fare formazione.
Ad esempio. Morgan Stanley ha 16mila advisor che utilizzano un copilota, basato su chatGPT, che analizza oltre 100mila report interni in pochi secondi. Hanno così ridotto del 30% il tempo speso in ricerche e nella preparazione delle riunioni.
Il consulente, però, deve formarsi nel prompt design, cioè nel fare le domande giuste al modello. Deve anche fare data governance, perché deve sapere dove finiscono i dati del cliente e quando vengono anonimizzati. La privacy è un aspetto che sarà sempre più indagato dal cliente e regolamentato.
E poi serve pensiero critico, perché l’intelligenza artificiale a volte ha le allucinazioni.
E il consulente deve validare l’ouput, non può esautorarsi dal conoscere quello di cui sta parlando.
Oggi siamo in una fase di addestramento dell’AI ed è importante avere persone esperte che ti affianchino. Questo porta a nuovi livelli di formazione che cambieranno, probabilmente, anche i modelli universitari del futuro. La macchina può spiegarti che cosa è un ETF, ma non cogliere le tue ansie e aspettative. Qui serve il consulente, che mette la faccia su ciò che scrive l’AI.
AG. Un concetto ricorrente da diversi anni è quello di “social selling”. Me lo puoi contestualizzare nell’ambito di banche e servizi finanziari?
GS. Execus è nata proprio in ambito social selling e abbiamo grandissima esperienza. Non si parla, in realtà, di vendere sui social ma di utilizzarli per coltivare relazioni. Negli USA, secondo Putnam, i financial advisor che usano i social in maniera strutturata hanno tassi di conversione più alti del 62%. In Italia, Wibida offre ai propri consulenti dei minisiti, con dei post “ready to share” su LinkedIn, insomma tutti gli elementi e gli insights che possono essere condivisi con il loro network.
LinkedIn è particolarmente significativo per il settore finanziario. Nel Social Selling Index, vediamo che LinkedIn supera il punteggio di 70. Un consulente può usare il proprio profilo per ottenere più referral rispetto ai colleghi “solo offline”. Non andiamo, quindi, a vendere direttamente sui social, ma li usiamo per costruirci un network.
E, poi, “influenzarlo”. Nel secolo scorso, le banche erano collocate nei punti nevralgici, quelli in cui passavano gli imprenditori. Oggi lo stesso target si intercetta su LinkedIn.
AG. Abbiamo parlato molto della domanda di nuove competenze. Ma che cosa succede lato offerta? Queste skill sono disponibili sul mercato? E nella concorrenza per i migliori talenti, le aziende finanziarie come possono competere con quelle tecnologiche?
GS. Le corporate hanno creato già delle academy interne, con percorsi di crescita e piattaforme di e-learning dedicate. Realtà come Google, Meta e altre hanno aperto la strada, sostituendo in pratica anche le università. Oggi, questa strada è necessaria anche nelle banche, non solo in quelle più grandi. Ci sono anche banche che costruiscono partnership con università.
Bisogna certamente concentrarsi su upskilling e reskilling. Riqualificare una persona costa il 20% in meno che assumerne una nuova. E si ottiene una performance migliore.
Bisogna poi lavorare sulle assunzioni mirate, specie nei grandi gruppi. Ogni due uscite per anzianità o per obsolescenza, oggi, si assumono soprattutto giovani nativi digitali. E anche questo è un grande vantaggio.
In generale, la cosa più importante è instillare all’interno di ogni istituto una cultura della formazione: job rotation, mentoring, cross generazionale. Ed è interessante anche l’esperienza di alcuni istituti, che legano una parte del bonus al percorso di apprendimento completato dal dipendente.
AG. Che cosa possiamo dire a tutti i bancari che ci stanno ascoltando? Come sarà il loro lavoro, in futuro?
GS. Il bancario di domani sarà 50% analista, 50% influencer, 100% fiduciario. Agli algoritmi lasceremo fare il copia-incolla. Noi ci teniamo la creatività, il giudizio e l’empatia con il cliente.