intervista

Banca Etica. L’inclusione creditizia nasce da una strategia, non basta il digitale

Inclusione creditizia Banca Etica

Nazzareno Gabrielli, Direttore Generale di Banca Etica

2,3 milioni di persone, in Italia, non hanno un conto bancario. E si trovano in situazione di difficoltà quando si tratta di accedere al credito.

Sono alcuni dei dati che emergono dal “Rapporto sull’Inclusione Finanziaria e il Microcredito”, presentato a gennaio 2024 e curato da Gruppo Banca Etica, Carlo Borgomeo and Co. e da RITMI, Rete Italiana di Microfinanza.

Abbiamo approfondito lo stato dell’inclusione finanziaria e creditizia con Nazzareno Gabrielli, Direttore Generale di Banca Etica, in questa intervista pubblicata anche in versione audio nel nostro podcast “#define banking”.

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AG. Qual è lo stato dell’inclusione finanziaria in Italia?

NG. Probabilmente sarebbe meglio parlare di esclusione finanziaria, fenomeno che nel 2020 riguardava il 4,4% della popolazione italiana. In numeri assoluti parliamo di oltre 1 milione di famiglie, cioè 2,3 milioni di individui, che oggi sono esclusi dai servizi finanziari nel nostro Paese.

In termini territoriali, il 56% di queste persone risiedono al Sud e nelle Isole e oltre il 70% di loro è a basso reddito, guadagna cioè meno di 16mila euro l’anno. Chiaramente, tutte queste persone sono destinate a interfacciarsi con sistemi finanziari opachi, se non illeciti.

AG. L’inclusione finanziaria viene spesso confusa con l’inclusione bancaria, cioè con il possesso di un conto corrente. Ma in realtà l’inclusione è in primis creditizia: solo l’accesso al credito permette alle persone di investire nel loro futuro. E i dati, su questo fronte, sono ancora peggiori...

NG. Stiamo seguendo questo fenomeno da oltre un decennio. Se prendiamo come punto di riferimento il 2012 e fissiamo a 100 il livello di accesso al credito in quel periodo, vediamo che negli anni seguenti l’indice ha stabilmente perso 1 o 2 punti ogni anno.

È ritornato a 100 solo nel 2020, per effetto delle misure di sostegno varate dal Governo durante la pandemia. E infatti subito dopo, già dal 2021, abbiamo registrato un ulteriore calo, di almeno 3 punti.

Anche in questo caso, vediamo che il rifiuto alla domanda di credito è maggiore in alcune aree geografiche. Guardando ai dati ufficiali di Banca d’Italia riguardo alle risposte negative sulle richieste di credito fatte da privati e imprese, vediamo che al Nord sono intorno al 10%, mentre al Sud e nelle Isole salgono al 40%.

AG. Questo gap territoriale può essere amplificato dalla cosiddetta “desertificazione bancaria”?

NG. È un collegamento spontaneo e inevitabile. Se guardiamo al numero di filiali e ATM sul territorio in rapporto agli abitanti, a livello nazionale in pochi anni abbiamo avuto un calo rispettivamente del 10% e del 4,5%. A questo andamento negativo non riesce a rimediare la dematerializzazione bancaria, cioè i servizi online o telefonici. La percentuale di abitanti con accesso diretto al banking si è ridotta del 9%, mentre l’uso dell’internet banking è salito solo dell’1,4%.

Da questo punto di vista preoccupa anche la minore offerta di phone banking, inteso come un numero di telefono a disposizione del cliente per disporre operazioni bancarie. Un canale certamente nelle corde di clienti meno giovani e poco avvezzi ai dispositivi digitali.

Nel passaggio ai canali digitali, poi, si sottovaluta il fenomeno dei tentativi di truffa, che diventano sempre più frequenti e avanzati.

AG. C’è una sovrapposizione tra diverse forme di povertà, come quella energetica? C’è il rischio di rendere sempre più difficile migliorare la propria condizione?

NG. Non ho dati da ricerche specifiche sul tema, ma è facile immaginare che le persone escluse dal debito, oppure sovraindebitate, rientrino nei profili di maggiore fragilità; e quindi donne, lavoratori poveri, stranieri. Questo è un terreno fertile per lo sviluppo di circuiti finanziari illegali e dell’usura.

Anche per la povertà energetica non ho statistiche che correlano direttamente i fenomeni, ma le regioni più colpite sono le medesime: il Sud e le Isole.

E anche la povertà energetica ha tra i suoi fattori principali il basso reddito del nucleo famigliare, a cui si somma l’innalzamento dei prezzi.

Tra l’altro, la povertà energetica è peggiorata dall’inefficienza delle abitazioni e il basso reddito ostacola l’accesso a quel credito che servirebbe proprio per fare gli interventi di ottimizzazione dell’efficienza energetica degli edifici.

AG. Come lavora la finanza etica per rafforzare l’inclusione creditizia?

NG. Ci sono strumenti, come il microcredito e la microfinanza, che consentono un più facile accesso al credito alle categorie fragili. Banca Etica rendiconta in maniera trasparente l’impatto dei finanziamenti che eroga, anche in termini di beneficiari e di utilizzo.

Sappiamo quindi che le categorie fragili, e quindi donne, giovani, disoccupati, immigrati e persone con basso titolo di studio, rappresentano il 62% della clientela della banca, in base all’ultimo Report d’Impatto, che contiene i dati del 2022.

La Banca finanzia anche, sia in Italia sia nel sud globale, le microfinance, cioè quei soggetti che fanno microcredito in maniera specializzata.

D’altronde, uno sportello bancario non è lo strumento più adatto per arrivare alle fasce deboli e non bancarizzate. Serve una capillarità diversa, con approcci e processi differenti che tengono conto delle caratteristiche di queste persone, spesso ingaggiate da mediatori.

Il microcredito, per essere efficace, non è solo microprestiti ma accompagnamento e servizi non finanziari, fatto da soggetti qualificati. E questi hanno bisogno di provvista: Banca Etica ha una discreta quota del proprio credito erogato a soggetti di questo tipo, in Italia e all’estero.

Un’azienda del Gruppo, CreSud, è specializzata proprio in questo.

AG. Come misurate i risultati concreti di questa attività?

NG. Questo anno compiamo 25 anni e abbiamo commissionato una ricerca ad AICCON, centro studi dell’Università di Bologna specializzato nel terzo settore, per misurare l’impatto di questi anni di finanza etica.

Tra i molti dati, spicca il fatto che tra i clienti che hanno ricevuto credito da Banca Etica, il 23% aveva subito almeno un rifiuto dal resto del sistema bancario. E la percentuale sale al 40% se consideriamo solo chi non aveva mai avuto rapporti con Banca Etica come cliente o come socio.

La nostra strategia di inclusione si ritrova anche in altre azioni. Negli ultimi mesi, l’impennata dei tassi ha portato a un impatto sociale importante: l’aumento dell’importo della rata per chi ha un mutuo attivo a tasso variabile.

La risposta del sistema bancario è stata la disponibilità a rinegoziare le condizioni. Banca Etica è stata l’unico istituto che ha preso il 10% dell’utile di esercizio dell’anno precedente e l’ha utilizzato per un intervento unilaterale di riduzione del tasso di interesse dei mutui prima casa a tasso variabile dei propri clienti, partendo dagli ISEE più bassi.

E tutto questo non per filantropia: Banca Etica opera sul mercato come ogni altra banca, rispettando tutti i vincoli e le normative.

Abbiamo costantemente chiuso gli esercizi in attivo e i nostri attivi patrimoniali sono ampiamente sopra la media.

Questo dimostra che la scelta etica non è beneficenza, ma una scelta di carattere strutturale che orienta le politiche finanziarie dell’istituto senza generare penalizzazione in termini di sostenibilità dell’impresa bancaria.

AG. L’inclusione finanziaria è uno dei cavalli di battaglia del fintech: delle neobanche, in base all’idea di inclusione come possesso di un codice IBAN, e di realtà che vogliono fare leva sui dati per ampliare la platea del credito. La tecnologia può migliorare la capacità di inclusione del sistema finanziario?

NG. Io penso di no. Il digitale lavora su accessibilità, fruibilità, semplicità. Questo, da un lato, rende estremamente più veloce l’accesso alle operazioni bancarie. Dall’altro, devi essere consapevole di ciò che fai, o sei più a rischio di frode.

Il tema del coinvolgimento al credito non è questione tecnologica, ma di volontà specifica. Noi abbiamo il 62% di clientela appartenente a categorie “fragili” perché abbiamo la volontà strategica di seguire questi soggetti.

Banca Etica nasce dal no profit e lavora moltissimo in rete con tutte le principali associazioni del Terzo settore. Lavoriamo insieme per arrivare a soggetti che non sono raggiungibili da uno sportello bancario, ma neppure da una app, per quanto assolutamente performante sotto il profilo tecnico.

Per l’accesso al credito c’è il rischio che tecnologie come l’intelligenza artificiale, che possono migliorare i processi bancari e industriali, non riescano a rilevare il 100% del campione. Perché per funzionare hanno bisogno di dati e alcuni soggetti, e includo in questo caso anche le piccole e piccolissime imprese, non sono strutturati per fornire queste informazioni.

I sistemi di credit scoring delle persone fisiche si basano su banche dati importantissime e analisi statistiche predittive molto efficaci. Ma hanno bisogno di dati. Un migrante o una persona a bassissimo reddito è uno sconosciuto la cui rischiosità non può essere misurata.

Per le imprese la questione si pone sul fronte ESG, in cui le realtà più piccole non hanno la possibilità di produrre una serie di dati.

 

Questo articolo è stato pubblicato sul numero di aprile 2024 di AziendaBanca ed è eccezionalmente disponibile gratuitamente anche sul sito web. Se vuoi ricevere AziendaBanca, puoi abbonarti nel nostro shop