DEFINE BANKING

Un ecosistema di servizi intorno alla polizza assicurativa. Come si lavora all’open insurance

open insurance startups

L’innovazione open nel mondo assicurativo. In questo episodio di #define banking parliamo di collaborazione tra compagnie assicurative e startup, dello sviluppo di ecosistemi di servizi e di come l’offerta assicurativa si sta spostando dal risarcimento del sinistro al monitoraggio e alla prevenzione. Per collaborare, però, servono standard: ne parliamo con Francesco Zaini, Partner e Open Finance Director di G2 Startups.

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Domanda. Iniziamo dalle presentazioni: chi è G2 Startups?
Risposta. G2 startups è un abilitatore di innovazione: noi lavoriamo sia con le startup, in quanto acceleratore di società di nuova costituzione sia con gli incumbent, per facilitare l’Open Innovation e quindi anche il lavoro con le startup. Un approccio completo e trasversale all’Open Innovation che presenta però delle specializzazioni in tre diversi ambiti, ovvero Open Finance, Digital Health e Renewable Energies. Se consideriamo l’Open Finance operiamo sì a livello nazionale ma con una prospettiva internazionale.

D. Recentemente c'è stato un annuncio che ha riguardato Per quanto riguarda la rappresentanza l'azione in Italia di OPIN, l’Open Insurance Initiative. Che cosa è OPIN e perché è importante?
R. L’OPIN è un organismo internazionale volto a promuovere l'Open Insurance e in particolare il tema dell’interoperabilità. Un concetto quest’ultimo che implica la possibilità di comunicare in maniera diretta e con flussi di dati e informazioni standardizzate fra operatori non solo del settore ma anche di altre industry al il fine di sviluppare nuovi business nella catena distributiva assicurativa per fornire valore alle proprie aziende ai clienti finali e all'interno di OPIN.

D. Qual è il ruolo e l'incarico di G2 Startups?
R. G2 Startups è partner di OPIN: siamo in contatto da circa un anno e mezzo e abbiamo sviluppato insieme il Chapter italiano dell’Open Insurance Initiative. La volontà non è quella di creare un dialetto locale della lingua internazionale dell’Open Innovation bensì intendiamo focalizzarci su alcuni temi sui quali stiamo lavorando in G2 Startups da un paio di anni e che possono avere rilievo anche a livello internazionale. Mi riferisco in particolare al tema degli ecosistemi di business e all’approccio sperimentale legato al playground, un sandbox di sperimentazione sulle API.

Francesco Zaini Partner e Open Finance Director di G2 Startups

Francesco Zaini Partner e Open Finance Director di G2 Startups

D. Sulle sandbox torniamo tra pochissimo. Parlando di Italia, qual è il contributo che l’Italy Working Group può dare all’OPIN?
R. Creare un centro di competenza basato in Italia, ma con un respiro internazionale, sul tema degli ecosistemi. L’OPIN ha come obiettivo anche quello di sviluppare degli standard di interoperabilità per creare casi di uso che abilitano modelli di business più ampi rispetto a quelli chiusi e verticali di settore, che creano valore con servizi o componenti distributive le quali, a loro volta, rappresentano un plus. Pensiamo alla casa: una Polizza Casa, in condizioni normali, risarcisce in caso di danno. In un ecosistema di servizi, invece, possono esserci anche delle funzionalità atte a prevenire o a mitigare gli effetti di un evento tramite ad esempio un servizio monitoraggio e di pronto intervento in caso di malfunzionamento o di guasto. E la compagnia può fornire la riparazione in tempi rapidi al posto di un risarcimento monetario. Naturalmente, una Compagnia assicurativa non può farsi carico di tutti questi aspetti ma deve collaborare con altri attori.

D. Arriviamo al playground. Anche in ambito FinTech il concetto di sandbox è molto importante. Perché un playground potrebbe facilitare l’innovazione nell’InsurTech?
R. La parola sandbox è utilizzata prevalentemente in relazione alla regolamentazione, a volte sono organizzate dal Regulator stesso per offrire e garantire uno spazio di azione più flessibile e fruibile anche dal cliente finale nell’applicazione della normativa finché si è in fase di sperimentazione. Nel nostro specifico caso, abbiamo scelto di utilizzare la parola “playground” al fine di indicare un campo di gioco e di sperimentazione, che coinvolga anche gli incumbent del mondo assicurativo che intendono “allenarsi” prima di confrontarsi con l’innovazione. Il playground serve quindi a sviluppare e testare dei casi di uso, individuati dall’Italy Working Group, e a renderli fruibili anche agli altri partecipanti e, in un secondo momento, a tutta l’industry. L’obiettivo finale è la standardizzazione: useremo quindi tecnologie open source che saranno rese disponibili all’intero settore.

D. A che punto è l’InsurTech nazionale rispetto a quello di altri Paesi?
R. Dobbiamo distinguere due aspetti. Il primo è l’InsurTech in senso stretto, cioè il mondo di startup e scaleup. L’altro è l’Open Insurance, quindi l’applicazione dell’innovazione delle startup all’interno delle compagnie tradizionali. Bisogna tenere in considerazione che i livelli di maturazione tra i due ambiti sono molto diversi. L’open insurance italiano non è particolarmente avanzato ma non siamo disallineati rispetto agli altri Paesi Europei: i casi concreti sono relativamente pochi ma qualche accordo tra startup e realtà tradizionale è stato portato a termine e l’interesse cresce. Purtroppo, crescono più gli accordi che gli investimenti.

Lato startup, invece, la qualità delle realtà italiane è sicuramente molto buona, in alcuni casi hanno rilevanza anche a livello internazionale, ma manca la quantità. All’estero, le startup coprono l’intera catena del valore assicurativo, mentre qui in Italia la situazione non è omogenea. Influisce anche un altro fattore ovvero che il mercato dei capitali è più limitato. È curioso notare che proprio dove la finanza dovrebbe essere più presente, gli investimenti siano più ridotti.

D. Se dovessi trovare degli elementi del mercato InsurTech all’estero da importare in Italia, che cosa sceglieresti?
R. Guarderei oltre l’Europa. Le iniziative realmente innovative avvengono in Nord America e in Estremo Oriente, soprattutto in Cina. Certo, in UK il mercato è molto sviluppato non tanto per le idee ma per gli investimenti molto più rilevanti se confrontati con quelli italiani. Per i modelli di business, la Cina sta mostrando casi di grande interesse, tra l’altro ha in comune con l’Italia un certo livello di sottoassicurazione della popolazione, chiaramente con potenzialità di scala incomparabili e un vantaggio tecnologico importante. In Cina il modello a ecosistema è più sviluppato che da noi: Ping An ha sviluppato 67 aree di ecosistemi principali con approcci innovativi in ambito Real Estate e Salute, tra gli altri.

Negli USA, invece, sono le BigTech che stanno cercando proattivamente di entrare nel settore assicurativo in vari modi, con logiche di ecosistema che però si discostano da quelle adottate dalle Compagnie. Non vogliono diventare compagnie assicurative, ma sottrarre loro volumi, margini e la relazione con i clienti. Proprio per questa motivazione le assicurazioni devono rispondere sullo stesso piano creando ed orchestrando degli ecosistemi.